Yoga

 

 

 

 

 

 

 

 

 

YOGA  ovvero LABORATORIO DI VITA

 

 

  

 

Hatha parola formata da Ha = Sole, attivo, maschile e Tha = Luna, passivo, femminile.

 

  Hatha Yoga   vuol dire: “Unire gli opposti in noi, unire il corpo alla mente e poi allo spirito”.

  Certamente è così, lo yoga insegna ad unire gli opposti in noi e fuori di noi allo scopo di           renderci  abili nell'agire come sostiene  Patanjali.

 

 Hatha parola formata da Ha = Sole, attivo, maschile e Tha = Luna, passivo, femminile.

  Yoga quindi è metodo, disciplina, scienza e conoscenza.

 

Vediamo di chiarire meglio questi concetti che andiamo a sviluppare nei nostri incontri settimanali:

  Unire il corpo alla mente attraverso l'azione e il respiro:

 Fare esperienza di un'azione associata al respiro significa essere presenti all'atto dell'agire nel momento in cui ci sottoponiamo all'esercitazione di Hatha yoga.

 

 Nella quotidianità se noi applichiamo questa regola dovremmo  immedesimarci nell'azione

 che stiamo compiendo senza altre distrazioni, senza pensieri disturbanti, senza rimuginii,

 senza dissociarsi dall'azione per pensare a ciò che verrà dopo o a quello

 che è stato prima.

 

 Le posizioni o Asana ,come si chiamano in sanscrito, ci fanno capire  quali e quante tensioni ci sono nel nostro corpo e riflettere sul fatto che le tensioni sono frutto della nostra mente, infatti ciò che lega la muscolatura alle ossa sono i nervi e i tendini i quali  fanno parte del sistema nervoso centrale e autonomo il quale reagisce alle percezioni interne ed esterne provocando, a seconda delle circostanze, contratture o distensioni. Lavorare su questi aspetti  significa imparare a controllare il corpo attraverso la mente.

 

 Nella quotidianità se applichiamo nelle circostanze che viviamo questa regola, impareremo

  ad avere   reazioni  equilibrate nelle situazioni.

 

Le posizioni si effettuano sempre su una parte del corpo che si contrae  mentre l'altra parte si distende.

 Sperimentiamo pertanto la dualità in noi. Ciò che era in tensione sarà rilassato e quello che era rilassato verrà messo in tensione, in tal modo otteniamo l'equilibrio.

 

 Questo ci insegna che anche nel quotidiano è necessario mediare tra gli opposti sentimenti e percezioni che si vivono.

 Le posizioni ci insegnano che la fatica che facciamo nel realizzarle verrà premiata con lo scarico delle tensioni, con il piacere di essere riusciti a migliorare la nostra postura e con la possibilità di ritrovare noi stessi attraverso il rilassamento.

 

 Così nella quotidianità la fatica, a volte lo sforzo di trovare l'equilibrio

 nei rapporti con noi stessi e con gli altri , verrà ripagato

 con la serenità, la buona salute e la fiducia in noi.

 

Dopo ogni posizione ci si rilassa  per un breve momento e si valuta  l'effetto ottenuto.

  Così alla fine della nostra giornata sarebbe bene riflettere sulle nostre azioni fisiche

  e mentali per  valutarne le cause e gli effetti e poter poi stabilire

 il  comportamento corretto per noi.

 

Le posizioni, così come vengono proposte, permettono il riequilibrio  oltre della muscolatura, anche dell'interno di noi, dei nostri organi e dei nostri corpi più sottili, partendo dal principio che il nostro corpo fisico non è che uno strato del nostro essere e che perciò in esso è intessuto lo strato mentale  e quello spirituale come nell'ordito e nella trama che insieme formano la stoffa.

 Così noi conosciamo con l'azione e con la mente.

 Sapere non sempre significa conoscere

 ed è nel conoscere che noi impariamo e cresciamo.

 

Quando viene proposto il rilassamento, noi rivolgiamo il nostro atteggiamento mentale positivo verso il nostro corpo  sia per quanto concerne la muscolatura striata, sia verso i nostri organi interni.

  Del nostro corpo e dei nostri organi  spesso noi ci ricordiamo

 solo quando si ammalano o ci fanno male. Ricordandocene invece anche quando

 stiamo bene ci aiuta ad essere grati al Creatore

 per il bel regalo che ci ha fatto: siamo vivi e siamo sani.

 

 Attraverso la concentrazione sui cakra,  prendiamo in considerazione l'aspetto energetico, questa energia vitale fa sì che noi siamo vivi. Meditiamo su queste porte che si aprono all'aspetto mentale  per portarci poi verso l'aspetto spirituale.

 

Noi, come sostenevano i Pitagorici siamo il microcosmo

 ovvero la rappresentazione del macrocosmo.

 

  Nel nostro laboratorio di Hatha yoga, nel nostro silenzio, nella nostra introspezione, facciamo esperienza di questo.

 

  “L'azione deve essere accompagnata della consapevolezza. L'azione in sé non ha alcun valore e nemmeno la consapevolezza senza l'azione. La mano e il cuore per produrre serenità devono lavorare insieme.”

 

 

Astanga yoga e hatha yoga

 

 

L’astanga yoga, letteralmente lo yoga dagli otto rami, rappresenta  la teoria yoga codificata da Patanjali.

 Per taluni Patanjali viene considerato un Rshi, vissuto nella notte dei tempi, un semidio raffigurato nella iconografia induista come un uomo che  dalla vita in giù è serpente, per altri doveva essere uno sciamano vissuto in tempi storici o forse no.

 

Per gli indiani non contava  molto datare gli eventi, le tradizioni si tramandavano nelle scuole religiose quando il discepolo era pronto a ricevere l’insegnamento. L’intento era stimolare la memoria degli allievi in modo che le nozioni penetrassero nella profondità dell’essere e si trasformassero in conoscenza.

 Sembra assodato che Patanjali, considerata la confusione che poteva crearsi con il sistema tradizionale, lasciasse per iscritto la teoria dello yoga, intendendo con il termine “yoga” la disciplina necessaria per raggiungere la propria purificazione. Quindi trasferì sulla carta quello che nelle scuole di pensiero induiste si insegnava, lo fece utilizzando il sistema in uso, ovvero attraverso gli aforismi.

 

Le vie per raggiungere la crescita interiore nonché la saggezza secondo Patanjali sono come i rami di un albero. L’albero cresce grazie ad un piccolo seme caduto naturalmente a terra, prima sottile virgulto poi, grazie all'azione del sole, dell’acqua e delle sostanze della terra , cresce si rafforza fino a divenire un grande albero con forti rami carichi di foglie, fiori, frutti che a loro volta daranno la vita, il sostentamento ad altre forme di vita in un continuo divenire.

 Così anche l’albero-uomo per raggiungere la sua pienezza umana necessita dell’azione di questi otto elementi che, grazie al seme della consapevolezza che ogni essere umano si porta nel proprio bagaglio genetico, svilupperanno la crescita interiore.

 

Il primo ramo  rappresenta lo stile di vita, così ci raccomanda Patanjali, un ramo che si biforca in:

  • Yama: Non violenza, non mentire, non rubare, castità, perdono, la tolleranza, la compassione, l’umiltà, la pulizia, una dieta equilibrata;

  • Niyama: la disciplina, la pazienza, la fede in Dio, la carità, l’adorare Dio, letture di testi sacri, usare al meglio l’intelligenza, il rigore.

 

 Secondo alcuni testi, queste sono le regole essenziali da raggiungere prima di dedicarsi all’hatha yoga. Fortunatamente Patanjali, ottimo conoscitore dell’animo umano, pratica la tolleranza e invita a raggiungere queste mete contemporaneamente allo sviluppo degli altri rami.

 

  • Il terzo ramo è rappresentato dagli  asana, posizioni fisiche che hanno lo scopo di allenare la mente al controllo del corpo oltre a  renderlo agile e  sano.

  • Il quarto ramo è quello del Pranayama, ossia il controllo del prana attraverso il controllo del respiro e dei polmoni.

  • Il quinto ramo si dispiega nel Pratihara che significa ritirare i sensi all’interno di noi diventando così consapevoli di tutto ciò che accade al nostro corpo.

  • Passiamo al sesto ramo: Dharana, la capacità di concentrazione, quando la nostra consapevolezza si dirige su un unico oggetto sperimentiamo la nostra capacità di concentrarci con tutto ciò che questo significa, è nella concentrazione profonda che possiamo risvegliare in noi intuizioni e ispirazioni.

  • Settimo ramo: Dhyana, meditazione. Ci sono molti  modi di meditare, ci dice Patanjali, da quello legato alla nostra quotidianità a quello che disvela l’Isvara, il Signore assoluto.

  • Ottavo ramo: SAMADHI, consapevolezza superiore. Anche per questo stadio, ci viene detto che diversi possono essere i samadhi, dall’intuizione all’unione con Dio.

 La nostra scuola di yoga affronta tutte queste tematiche che hanno come finalità il raggiungimento della saggezza che per nostro conto significa  una personale consapevolezza e  una acquisita serenità interiore.

 

Quando una persona raggiunge questo  buon livello di coscienza, saprà da se stessa aderire alla forma spirituale più adeguata alla propria crescita.

 Per questo sviluppo dei nostri rami partiamo dalla parte più avvicinabile, on tanto perché più facile ma perché è nel proprio bisogno che ci si avvicina allo yoga. Così l’insonnia, l’ansia, il rimuginio mentale, le paure, i piccoli disturbi psicosomatici ci inducono a  percorrere questa strada o una sua parte. Potremmo dire che tutti questi disagi sono uno stimolo per scoprire il mondo infinito dello spirito dentro di noi.

 

Le sedute di hatha yoga risultano un perfetto esempio di come dovremmo affrontare il nostro quotidiano, col dovuto distacco e con l’atteggiamento dell’esploratore in una foresta inesplorata, interessato e attento. 

Lo Yoga è una disciplina ormai largamente entrata  nella nostra cultura come mezzo in grado di agevolare la crescita interiore.  E' un  mezzo privilegiato per scaricare tensioni, reimparare la corretta respirazione,  correggere  abitudini fisiche, mentali, comportamentali che danneggiano noi e gli altri.

E' un valido mezzo  per affrontare le difficoltà   e vivere con più fiducia e positività.

Lo Yoga migliora la coordinazione, i riflessi, il tempo di reazione, la memoria e la concentrazione. Praticando il rilassamento si ha una maggiore abilità nella soluzione dei problemi, si recepiscono e si ricordano meglio le informazioni e si è meno distratti.

Le posizioni più rilassanti, gli esercizi di respirazione e i rilassamenti guidati danno sollievo al sistema nervoso, combattono la depressione e rallentano i pensieri negativi di rabbia, di paura e insegnano a rallentare il respiro. Tutto ciò sposta l'equilibrio dal sistema nervoso simpatico a quello parasimpatico con conseguente effetto calmante e un aumento di serenità e autocontrollo.

 E' questa eccezionale conoscenza è qualcosa da sperimentare direttamente sulla propria pelle.

Come o cosa realizzeremo durante la nostra attuale vita?

Come possiamo sapere oggi come e cosa accadrà di noi durante la nostra vita? Se ci perderemo nel mare indifferenziato dell’Essere o se riusciremo a realizzare la conoscenza che ci permetterà di nuotare in questo mare come un pesce che guizza tra le onde e resiste alle correnti?

La conoscenza è un’arte che richiede fede, abnegazione e volontà:

 Free mind yoga: dall’oscurità della nostra mente alla luce di  Pratyakshaavagama.

Un percorso che ci farà conoscere la schiuma  della nostra mente,  ci porterà passo dopo passo nelle profondità  della nostra esistenza e, se lo vorremo,  fino alla conoscenza.

Yoga, letteralmente giogo,  quello strumento che permetteva all’uomo di legare il collo di due buoi assieme e poter arare i campi per la semina del grano che, una volta maturato e passato alla macina avrebbe dato il pane.

Così yoga viene inteso come quello  strumento che, passando attraverso la fede, la volontà e il controllo,  permette all’essere umano di accedere  alla conoscenza, vero  pane dell’anima.

 

 

 

 

IL KARMA

 

ovvero la Legge di Causa ed Effetto

 

 

 

Possiamo definire la legge del Karma come quella regola  relativa all'evoluzione dell'Esistenza,  fuori di noi e in noi. Karma significa  Azione.

 

Parlare di Karma, nella accezione corrente,  prelude la possibilità di un eterno divenire, dell'esistenza  di  un' Anima universale immortale o di una Intelligenza  Cosmica che procede con coerenza un percorso evolutivo finalizzato al continuo perseguire della vita oppure alla purificazione progressiva della creazione, oppure alla possibilità della stessa Anima Universale o Intelligenza  Cosmica di riflettersi e di conoscersi. Quello che noi chiamiamo Dio, che gli induisti chiamano Braman, che i buddisti chiamano Vacuità, i taoisti chiamano Ki, i musulmani Allah e  gli ebrei  Yaveh,    forma alla vita nelle sue diversità e ogni tradizione e culture prevede comportamenti e rituali vari per adeguarsi al divino. Questo procedere crea le condizioni di effetti dovuti a cause a volte vincenti e a volte che allontano dal fine e viene denominato karma dalle filosofie orientali.

 

Con ogni probabilità anche prima del periodo storico l'uomo aveva credenze che solo in seguito alla venuta della scrittura ha potuto trasmettere e  così  testimoniare il suo pensiero, noi  iniziamo questo discorso cercando di ricostruire la storia e la fatica che il nostro mondo occidentale ha dovuto compiere per raggiungere la capacità di esplicitare il proprio sentimento in questo ambito.

 

Sappiamo  che il primo testo sacro fu iniziato da Omero, il cantore cieco,  e sappiamo anche che la storia di Odisseo e di Ilio  è stata fatta a più mani e in periodi diversi. Sappiamo  che anche la tradizione indiana fa narrare le vicende sacre da  veggenti ciechi. Questa usanza simile in parti così diverse del mondo era avvalorata dal fatto che colui che poteva intermediare con il divino non dovesse essere interessato al mondo fenomenico se non per educare il suo popolo. Era pertanto cieco alle lusinghe del mondo.

 

 Tra l'altro, proprio recentemente, studiando il genoma umano,  alcuni ricercatori hanno constatato che l'Europa, dopo l'ultima glaciazione è stata popolata da genti che provenivano dalle zone indo- orientali con un patrimonio genetico di almeno 7000 anni, solo  circa 5000 fa è avvenuta la modifica genetica  tipica dell'uomo occidentale odierno. Possiamo dire che noi occidentali rappresentiamo la nuova generazione, mentre i nostri genitori  erano le genti probabilmente della Mezza Luna fertile e dell'Anatolia , abbiamo anche vari zii  anche più vecchi dei nostri genitori, come gli Africani e  gli Asiatici.

 

 Come questa legge di causa ed effetto influisce in noi,  nelle condizioni che viviamo nel nostro “eterno divenire” di esperienza in esperienza e di vita in vita?